
17 Giu Quando l’Assicurazione non copre il danno e l’Infermiere militare rischia di pagare per colpe non sue
E’ dato facilmente oggettivabile come la maggior parte degli Infermieri delle Forze Armate e di Polizia non abbiano ancora stipulato un’adeguata polizza assicurativa che copra da eventuali danni a terzi per colpa grave provocati durante la pratica professionale, nonostante gli obblighi di cui alla Legge 24/2017 (cd Legge “Gelli-Bianco”), recante disposizioni in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie.
Il perché è altrettanto oggettivabile. Purtroppo non esiste un’assicurazione che possa coprire tutte le attività svolte da tali professionisti nell’ambito della Difesa. Il motivo è che, come sempre più spesso accade, l’Amministrazione della Difesa, soprattutto per quel che riguarda la Sanità militare, anziché dare immediata attuazione a quanto previsto dalle leggi che si pongono a tutela del cittadino-paziente inclusi quelli militari, preferisce distinguersi con clamorosi ritardi nell’adeguarsi alle norme che emana il legislatore nazionale.
Si veda, a tal proposito, come è stata gestita l’annosa questione dell’obbligo di iscrizione all’Ordine professionale per il personale sanitario militare (legge 43/2006). Vicenda che si è protratta per anni e che, dopo prese di posizione da parte di associazioni di rappresentanza, guerre a carte bollate, vari ricorsi ai TAR regionali, denunce alla Procura della Repubblica e una chiara presa di posizione della stessa FNOPI; il legislatore alla fine ha riconosciuto l’obbligatorietà dell’iscrizione anche per le Professioni Sanitarie delle FF. AA. agli Ordini nazionali ed il rimborso da parte dell’Amministrazione delle spese sostenute dal personale a partire dal 2020 per l’iscrizione al relativo albo professionale. Il tutto si sarebbe potuto evitare se ci fosse stato un adeguamento alla normativa dello Stato nel momento che questa fosse entrata in vigore.
L’Unità Pro.San.F.A.P. di AsSoDiPro, al fine di chiarire la nuova querelle che è nata sulla questione “assicurazione professionale” che si preannuncia possa creare non pochi contenziosi professionali e legali, ancora più gravi rispetto alla mancata iscrizione all’albo professionale, si ripropone di fare un punto della situazione sull’epilogo della questione, almeno per il momento, della presa di posizione da parte della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI) che si è espressa sulla diatriba; e di rivolgere un’accorata richiesta ai Vertici militari preposti per una soluzione in tempi brevi della problematica che vivono gli Infermieri della Difesa.
La FNOPI, interrogata sulla questione dal Sindacato dei Militari e da innumerevoli esercenti militari della professione sulla validità anche per gli Infermieri delle FF. AA. della polizza assicurativa che ha messo a disposizione per i propri iscritti da gennaio 2019, definita a seguito di due gare europee per l’identificazione del broker e della compagnia assicuratrice individuato nella Marsh s.p.a. e Morganti Insurance Brokers s.r.l. e nella Unipol SAI, dopo attenta analisi dell’impiego e dell’attività svolta dal personale infermieristico nel comparto della Difesa, ha stabilito che la polizza proposta, a cui aderiscono quasi tutti i 450mila Infermieri civili, “copre per le attività professionali, ovvero quelle che sono previste dalle leggi che regolamentano la professione infermieristica”. Continua specificando che “non è possibile che una polizza assicurativa possa intervenire su responsabilità che non sono riconducibili ad attività proprie dell’Infermiere”.
Si potrebbe aggiungere:” E ci mancherebbe altro!”
Ma cosa c’è alla base di una tale specificazione; quali sono le attività non riconducibili a quelle dell’Infermiere a cui l’Amministrazione Difesa obbliga i suoi professionisti sanitari, per le quali non è possibile prevedere una copertura assicurativa valida come in tutti gli altri comparti sanitari?
Si prova ad analizzare per gradi.
Una polizza professionale obbligatoria ha come finalità quella di coprire da responsabilità di tipo civile, amministrativo, penale e disciplinare in caso di inadempienza, negligenza, imprudenza o imperizia.
La copertura assicurativa copre i danni causati con colpa grave, fatta esclusione per quelli derivanti da atti come l’omissione dolosa.
Com’è noto, l’8 marzo 2017 è stata approvata la legge n. 24 che è entrata in vigore il 1° aprile 2017 che impone l’obbligatorietà per ogni professionista sanitario di sottoscrivere un’idonea assicurazione per i danni causati al proprio utente/paziente derivanti dall’esercizio della propria attività.
Di seguito si riportano alcuni articoli cardine della legge Gelli-Bianco, inerenti principalmente la revisione della responsabilità professionale e alcune considerazioni per ciò che attiene l’impiego in ambito militare:
- Con l’art. 6 è stato introdotto nel Codice penale il nuovo articolo 590-sexies – “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario” – che ha escluso la punibilità, nel caso in cui l’evento si sia verificato a causa di imperizia e il professionista abbia rispettato le raccomandazioni previste dalle linee guida validate da società scientifiche accreditate e pubblicate online dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Quindi, è punibile quell’infermiere militare che cagiona la morte o provoca lesioni personali ad un paziente nell’attività delle sue funzioni sul territorio nazionale, anche se ha agito con diligenza, perizia e prudenza ma ha applicato protocolli non riconosciuti dall’ISS come quelli utilizzati in ambito NATO.
- Con l’art. 10 è stato introdotto un obbligo di assicurazione che ha previsto che le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private debbano essere provviste di copertura assicurativa per la responsabilità civile verso terzi e verso prestatori d’opera, “o di altre analoghe misure”. Ci si domanda allora se tutti gli Enti dell’A.D. in cui sono erogate prestazioni sanitarie abbiano provveduto a tale apposita copertura o abbiano optato per analoghe misure per tutelare se stessa e i propri dipendenti o, in caso contrario, se debba essere lo stesso professionista sanitario a farsi carico anche di una copertura assicurativa per colpa lieve.
- L’art. 12 ha previsto che il soggetto danneggiato abbia diritto di agire direttamente nei confronti dell’impresa di assicurazione che presta la copertura assicurativa alla Strutture Sanitarie o all’Operatore responsabile del danno. Quindi, nel caso che l’assicurazione non ritenga di dover coprire il danno che l’infermiere ha arrecato in quanto l’atto che lo ha determinato non è ricompreso nelle specifiche funzioni dello stesso, il danneggiato chiama in causa direttamente il professionista, mentre l’Amministrazione che lo ha impiegato e ne ha disposto la modalità di impiego non viene chiamata in causa.
Ma quali possono essere le attività dell’Infermiere militare non riconducibili alle sue funzioni che interessano la professione infermieristica?
Sono molti i contesti delle attività assistenziali svolte dagli Infermieri con le stellette che esulano completamente da quelle che sono le attività funzionali degli Infermieri italiani in ottemperanza alle specifiche disposizioni di legge. A titolo esemplificativo, si analizzano tre contesti in cui l’Infermiere militare, nell’assolvimento delle sue funzioni in Italia o all’estero, qualora cagioni un danno a terzi, pur operando con prudenza, diligenza e perizia, si potrebbe ritrovare in una condizione di punibilità e di mancata copertura assicurativa:
- attività di assistenza con il ricorso al supporto degli Operatori Logistici della Sanità (OLS) che non sono formati nè sono riconosciuti dal Ministero della Salute;
- intervento oppure mancato intervento di assistenza avanzata con manovre / procedure salvavita in assenza di protocolli avanzati condivisi;
- mancato adempimento, sul territorio nazionale, alle linee guida della Conferenza Stato Regioni e ai protocolli dei Servizi Sanitari Regionali nelle attività di assistenza in emergenza extraospedaliera e utilizzo di linee guida non validate e non riconosciute dall’ISS.
- Impiego Operatore Logistico di Sanità: l’OLS viene attualmente impiegato sul territorio nazionale e all’estero nell’assistenza agli utenti militari e civili negli ospedali e negli enti periferici militari. È una figura sanitaria che l’Esercito considera come ausiliaria, individuata in fretta e furia in sostituzione dell’Aiutante di Sanità, figura storica nella compagine sanitaria militare, diventata non più impiegabile essendo una professione non adeguata alle reali esigenze del comparto, a cui venivano demandati compiti che palesavano un continuo esercizio abusivo della professione sanitaria. Il paradosso è che anche tale nuova figura, della cui attività è stato disposto essere responsabile esclusivamente l’infermiere o il medico che lo impiega, non solo non è riconosciuta dal Ministero della Salute, ma è stata abilitata d’emblee a prestare attività assistenziali al paziente (mobilizzazione al letto, medicazioni, clisteri evacuativi, somministrazione terapia, soddisfazione delle esigenze psicologiche, ecc.) in modo arbitrario e senza alcuna preparazione professionale. Basti pensare che finanche l’Educatore professionale può svolgere l’incarico di OLS senza alcuna formazione complementare (Circolari: SME, III Reparto pianificazione generale del 22/1/19; SME, Dipartimento impiego del personale del 2/3/20). A tal proposito, è lo stesso Codice dell’Ordinamento Militare a non riconoscerne l’esistenza, stabilendo difatti che “L’attività sanitaria è consentita al personale in possesso dei titoli per l’esercizio delle professioni sanitarie e alle figure di supporto sanitario, riconosciute dal Ministero della Salute, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 213 per i soccorritori militari”(D.lgs. 66 del 2010, art. 208, comma 2).
In questa situazione, nel momento in cui un OLS cagioni un danno o la morte del paziente nella sua attività ospedaliera o di assistenza territoriale, l’Infermiere che lo ha impiegato, non solo è imputabile di concorso in esercizio abusivo di professione, ma deve rispondere in sede penale e civile dei danni arrecati senza possibilità di beneficiare dell’assicurazione stipulata per la copertura per colpa grave per l’esercizio delle sue funzioni in quanto l’OLS non rientra nella fattispecie delle professioni di supporto essendo tale figure non riconosciuta dalla legislazione italiana.
2. Intervento oppure mancato intervento di assistenza avanzata con manovre/procedure salvavita in assenza di protocolli avanzati condivisi: eventualità verificabile nell’impiego di personale infermieristico senza l’ausilio del medico sulle unità navali della Marina Militare, all’estero nei Teatri Operativi oppure nelle regioni dove i protocolli avanzati sono previsti. In queste circostanze, venendosi a trovare in una situazione di patologia tempo dipendente, come una grave emorragia, uno shock anafilattico, uno pneumotorace iperteso, una grave embolia gassosa da immersione, ecc., l’intervento assistenziale dell’Infermiere che ricorre all’ausilio di farmaci o di procedure avanzate secondo i protocolli scientifici internazionali, può essere determinante per salvare una vita umana. Anche se la normativa prevede che l’infermiere militare, nei Teatri Operativi, in assenza del medico, possa effettuare manovre salvavita avanzate (COM 66/2010, art. 213), tale personale, se non è adeguatamente formato e se non sono stati previsti protocolli avanzati di trattamento condivisi, si può ritrovare a dover rispondere penalmente del proprio operato sia in caso di danno al paziente per l’attività assistenziale avanzata effettuata, sia di omissione di intervento in caso di mancata procedura assistenziale che sarebbe potuta risultare salvavita per la vittima.
A titolo esplicativo, si fa l’esempio dell’infermiere FSB della Marina Militare: figura professionale abilitata alla fisiopatologia subacquea ed iperbarica – branca peculiare e storico baluardo della Marina Militare – con tanto di rilascio di attestato. Tale figura, pur non riconosciuta dal Ministero della Salute, viene impiegata su unità navali provviste di camere iperbariche e operanti nei vari contesti, spesso in assenza del medico a bordo. Per evitare danni al paziente con embolia gassosa che possono essere molto gravi fino alla morte, le evidenze scientifiche hanno dimostrato la necessità di un rapido trattamento dell’infortunato in camera iperbarica. Tale terapia, affinché possa essere considerata risolutiva e salvavita per l’infortunato, deve essere effettuata il prima possibile e non si può attendere una pre-valutazione e una prescrizione se il medico è reperibile e non è disponibile nell’immediato, tantomeno attendere il suo arrivo sul posto considerati i tempi della reperibilità (fino a 2 ore).
Non occorre avere molta immaginazione per comprendere le conseguenze penali di quell’infermiere FSB che cagionasse un danno ad un paziente con embolia gassosa qualora si assumesse la responsabilità di trattare in camera iperbarica un paziente senza la prescrizione del medico perché non presente in loco, oppure, pur specialista FSB, in mancanza di protocolli avanzati condivisi, il paziente morisse e l’Infermiere avesse omesso di praticare il trattamento salvavita. In una tale circostanza, oltre alle gravi conseguenze penali a cui andrebbe incontro, una cosa è certa: l’assicurazione non coprirebbe il danno.
3. Mancato adempimento ai protocolli dei Servizi Sanitari Regionali: gli Infermieri militari hanno un ruolo strategico nel sistema di emergenza territoriale. Ogni giorno, in Italia, operano decine e decine di equipaggi sanitari militari di II livello con un Infermiere, un ambulanziere e una figura come supporto sanitario (OLS) con il compito di assistere sul posto il personale impegnato in attività operative o di addestramento. L’Infermiere è il team leader di tale equipe e si assume tutte la responsabilità delle scelte che intraprende per quel che riguarda il trattamento, il trasporto, la destinazione della vittima di infortunio e del personale alle sue dipendenze. L’organizzazione sanitaria militare non prevede né un inserimento nella rete dell’emergenza regionale dove tale assetto viene impiegato, né i Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali regionali previsti per la patologia specifica, per lo più traumatica nei contesti militari, finalizzati a portare il paziente giusto, nei tempi giusti e nelle migliori condizioni possibili. Inoltre, tale personale sanitario militare impiegato non ricalca le necessarie caratteristiche tecnico specialistiche (ambulanziere e OLS) né tantomeno segue la formazione che il Sistema Sanitario Regionale prevede in ottemperanza alle linee guida della Conferenza Stato, la quale ha ben specificato l’importanza di un percorso formativo uniforme che si dovrebbe applicare a tutti i settori del Sistema dell’emergenza-urgenza, prescindendo dall’appartenenza al Servizio Sanitario Nazionale, Enti o Associazioni di volontariato.
Invero, il Comando di Sanità e Veterinaria dell’Esercito, per quel che riguarda, ad esempio, l’assistenza in emergenza sanitaria alle attività di discesa dall’elicottero con la fune (da una altezza fino a quindici metri), in caso di infortunio, ha stabilito che si debbano adottare i protocolli TCCC utilizzati in contesti di guerra e la formazione ECM che il professionista fa per proprio conto, magari su altri argomenti, come elementi di formazione integrativa “sufficiente” a gestire un caso clinico di trauma maggiore accorso sul territorio nazionale (circolare Comando Sanità e Veterinaria, Reparto Sanità, Fascicolo 10/3/7.3 del 30/8/18). Va da sé che, anche in un contesto di impiego simile, nessun perito, nessuna assicurazione, nonostante fosse stata stipulata una polizza per colpa grave, riconoscerebbe la copertura assicurativa e provvederebbe a risarcire il danno indotto a terzi da un esercente la professione infermieristica militare, poiché tale professionista: non ha seguito i PDTA e non si è rapportato alla rete dell’emergenza prevista, non si è attenuto alle linee guida riconosciute dall’ISS; risulta impreparato per la gestione di un caso clinico così grave; e si è avvalso di personale non riconosciuto dal Ministero della Salute. In una fattispecie di questo tipo, l’outcome clinico, sia quoad vitam che quoad valetudinem sarebbe notevolmente ridotto e ci sarebbero i presupposti per ravvisare tutti gli elementi di imperizia, imprudenza, negligenza e concorso in esercizio abusivo della professione.
La FNOPI, per queste e ulteriori particolari motivazioni, dovendo dare risposta alle numerose sollecitazioni arrivate da più parti, ha inteso chiarire con una nota pubblicata sul proprio sito indirizzata agli esercenti le professioni infermieristiche militari con la quale ha specificato che: “per quei professionisti inseriti in organizzazioni particolari regolamentati da leggi speciali (sarebbe opportuno specificare, che, più che speciali, si dovrebbero intendere specialistiche le quali, pur salvaguardando la specificità della Sanità militare, dovrebbero rispondere comunque al dettato costituzionale e alle normative nazionali in tema di diritto alla salute), come è il caso dei professionisti sanitari militari, ulteriori attività attribuite agli stessi e non riconducibili all’assistenza infermieristica, non trovano per logiche ed evidenti ragioni, copertura assicurativa poiché il rischio assunto non deriva da attività infermieristiche. In queste fattispecie si evidenzia che comunque il rischio per la sola attività infermieristica risulta regolarmente assicurato” (https://www.fnopi.it/responsabilita-sanitaria/).
Come ProSanFap riteniamo che l’Ispettorato Generale della Sanità Militare in primis e i Comandi delle Sanità delle quattro Forze Armate, a cui verranno rivolte richieste formali in merito, si debbano impegnare a:
- risolvere la grave problematica inerente l’impiego del personale infermieristico militare al fine di evitare che si possano ritrovare, per le attività analizzati e per molte altre circostanze, a dover rispondere penalmente e civilmente di danni arrecati agli utenti militari e civili nell’assolvimento delle loro funzioni istituzionali per colpe non riconducibile al loro operato;
- adottare chiari ed univoci provvedimenti che mettano le Professioni sanitarie nelle condizioni di operare con serenità e si possano dedicare esclusivamente all’incarico che lo Stato ha demandato loro: impegnarsi, ad legem, alla cura e all’assistenza dei cittadini con e senza le stellette sempre, in ogni luogo e in qualsiasi circostanza;
- provvedere, laddove carente, ad una copertura assicurativa per la responsabilità civile verso terzi e verso prestatori d’opera sanitaria, o di altre analoghe misure.
Le norme ci sono già, occorre solo sedersi intorno ad un tavolo e decidere una volta per tutte di voler voltare pagina e iniziare a concepire la Sanità militare, pur nella sua particolarità di impiego all’estero, come una delle numerose branche specialistiche che costellano l’universo sanitario nazionale; che non si possa esimere dall’applicare le normative che sono previste dalla Costituzione, dallo Stato centrale e dalle Regioni le quali hanno il mandato istituzionale di gestire i servizi sanitari a favore dei cittadini.
Basta poco per stare al passo con la scienza e con le direttive previste per assicurare i medesimi trattamenti a tutti i cittadini, con e senza le stellette. Per quel che riguarda l’aspetto assicurativo, al fine di non rischiare che un Infermiere militare si possa ritrovare a pagare conseguenze penali e civili e a non avere la prevista copertura assicurativa per colpe non sue, basterebbe emanare protocolli avanzati da condividere con il personale deputato ad erogare l’assistenza in assenza del medico (nella maggior parte delle Regioni sono già attivi); di formarlo secondo le linee guida della Conferenza Stato Regioni (Stato = FF. AA.) e le delibere regionali; di qualificare il personale di supporto secondo i criteri previsti dal Ministero della Salute. Il tutto al fine di porre i singoli esercenti le professioni sanitarie militari e di polizia nella condizione di operare al meglio delle proprie capacità e di potersi avvalere di quelle coperture assicurative necessarie, oltre che obbligatorie per legge, per una propria tutela e, soprattutto, per la tutela dei pazienti.
Responsabile ProSanFAP
Dott. Antonio Gentile
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